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Falò devozionali, processioni e tavolate: la festa di San Giuseppe a San Marzano

S. Giuseppe a San Marzano
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Falò devozionali e tavole imbandite per le vie della città: è così che molti comuni pugliesi si preparano a celebrare la festa di San Giuseppe, una ricorrenza di origine antichissima che ogni anno si rinnova con la stessa devozione e lo stesso spirito di sacrificio.

Processione festa S. GiuseppeA San Marzano di San Giuseppe (TA), una comunità di minoranza linguistica arbëreshë, la festività assume un’importanza ancora maggiore poiché coincide anche con la celebrazione del santo Patrono. I festeggiamenti cominciano il 18 marzo con la suggestiva processione della legna  durante la quale anziani, donne, uomini, bambini e carrettieri (“travinieri”) percorrono, ognuno con il proprio carico di legna e fascine, le vie del paese; la legna, dopo essere stata benedetta, viene accatastata in un luogo prestabilito in attesa che venga acceso il grande falò (“zjarri e mate”) che brucerà sino all’alba del giorno dopo. L’origine di questo rito risale alla seconda metà dell’ 800 e riporta alla memoria ciò che accadde esattamente nel 1866 nella notte tra il 18 e il 19 marzo. La gente del luogo era solita accendere dei piccoli falò devozionali agli angoli delle strade in omaggio a S. Giuseppe, ma in quell’anno, per via di un inverno molto rigido, gli abitanti del paese decisero di conservare la legna e di rinunciare ai falò. Durante la notte, però, si abbatté un violento nubifragio sulla città che distrusse colture e sradicò numerosi alberi. La tempesta fu interpretata come un castigo divino e i sammarzanesi, per dimostrare il loro pentimento, decisero di reperire quanta più legna possibile con lo scopo di accendere nel punto più alto della città un falò di dimensioni così imponenti da essere visibile anche ai paesi vicini. Da allora, ogni anno si ripete lo stesso rituale con una tale intensità e partecipazione che neanche secoli di storia sono riusciti a sbiadire."benedizione pane"

Un altro rito molto importante è quello della benedizione del pane che deriva dall’origine del culto del santo, protettore dei poveri e dei bisognosi. Nei due giorni precedenti i festeggiamenti, le donne devote preparano l’impasto che dovrà lievitare per una notte intera. All’alba del 18 marzo il pane, recante le iniziali di S. Giuseppe o il simbolo della Croce, viene portato nei forni a cuocere. La stessa mattina si celebra nella Chiesa Madre la “benedizione del pane di San Giuseppe” che verrà poi distribuito ai fedeli.

I festeggiamenti proseguono il 19 marzo con le tavolate di S. Giuseppe, una tradizione che risale probabilmente al periodo medioevale quando, una volta l’anno, i signori del paese (“patruni”) usavano offrire da mangiare alle famiglie povere. Le tavolate, allestite di solito nella stanza più grande della casa, sono abbellite con bianche tovaglie, fiori e ceri accesi innanzi al quadro del Santo. Come accadeva in passato, sono le donne ad occuparsi della realizzazione delle tavolate e della preparazione delle tredici pietanze (in ricordo dell’ Ultima Cena) che vengono meticolosamente disposte ed allineate sul tavolo. I piatti possono variare da paese a paese ma tutti si basano sui prodotti tipici della civiltà contadina: olio, farina, pepe, pesce, legumi e ortaggi.  La pietanza principale, immancabile, è il pane a forma di ciambella servito con finocchio ed un’ arancia. Al banchetto partecipano da un minimo di 3 fino ad un massimo di tredici persone scelte dalla famiglia devota per personificare la figura dei Santi. Le tre figure “sacre” minime rappresentano la Vergine Maria (ruolo quasi sempre ricoperto da una giovane nubile), Gesù bambino (solitamente un bambino o un giovane) e San Giuseppe.

mattreLa mattina del 19 marzo, prima della processione del  Santo portato in spalla dai devoti, vengono allestite lungo la via principale che parte dalla Chiesa Madre, le cosiddette “mattre” (“mattra” è un termine albanese che significa “tavolata”): tavoli su cui sono disposti piatti tipici della tradizione locale: orecchiette, “braciole” e polpette, pane, vino, carteddate e zeppole che il parroco benedice al termine della messa e che vengono poi distribuiti ai fedeli e a chiunque voglia partecipare ai festeggiamenti.

Che si sia credenti o meno, trovo sia impossibile negare il fascino che certi riti esercitano; essi raccontano un popolo e una terra, rappresentano una ricchezza inestimabile da custodire gelosamente e da trasmettere alle nuove generazioni perché insegnano che fermarsi  un momento in mezzo alla frenesia dei nostri giorni non è una perdita di tempo, ma un modo per riscoprire e riscoprirsi.

Le foto presenti sono state prese da http://www.prolocomarciana.it/

Giovanna Gallo


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